“Laggiù è tutto diverso. Tutto brilla in un altro modo… forse è la profondità a dare luce a qualunque cosa”
Lasciatevi prendere per mano ed accompagnare da Enrico Ianniello in “Alfredino, laggiù” (Feltrinelli) attraverso questa storia che è un viaggio in tre parti, forse un sogno a occhi aperti o forse una realtà passata che ritorna. L’espediente che utilizza è un episodio di cronaca avvenuto quarant’anni fa.
Andrea e Teresa si conoscono da pendolari universitari, si innamorano in treno attraverso sguardi silenziosi e dichiarazioni sussurrate in galleria.
A maggio, festeggiano i dieci anni dei loro gemelli. Durante il gioco all’aperto, Marco si procura una vistosa ferita alla coscia.
Tutto sembra passato ma quella sera Andrea mentre affetta zucchine e patate ha domande che gli mettono paura come padre. E se a suo figlio fosse successo qualcosa di più grave?
Ecco che riaffiora un ricordo passato, un nome, una vicenda che ha paralizzato una nazione, intere famiglie incollate ad una lunga diretta televisiva. Un ricordo bloccato che riemerge prepotente e accompagna i giorni successivi di Andrea e che, nonostante gli impegni lavorativi, il trasloco, la famiglia, fa riaffiorare il nome di Alfredino e quel mucchio di sensazioni inesplicabili allora come ora. La frase che ritorna… “Non è così bello come dicono, avere dieci anni”.
È la sera del dieci giugno. Sono passati quarant’anni esatti dalla tragedia di Alfredino. Andrea è esausto seduto a letto. Si perde dietro ad una lucertola infilata nella pantofola, il pensiero torna ad allora, alla memoria che si rivela plastica con spazi sconosciuti, la luce della notte che entra nella stanza e… un clic.
Andrea si ritrova imbragato nel pozzo per salvare Alfredino, per liberarlo dal buio della terra che lo avvolge, “utero per vermi”. Sarà la luce della torcia?
“Le stelle sono sotto i miei piedi, non più sopra i miei pensieri. Alfecca Meridiana la stella che brilla nel buco”.
Eccolo in uno spazio che genera un viaggio attraverso i legami della sua vita presente e passata. Il radar del bambino selvaggio… la mano di Alfredino lo porta ad incontrare Irene giovane organista di cui era stato innamorato, il mago Frank che ricorda Gigi Proietti, Agostino il punk dallo sguardo sognante, Serena la libraia, la squadra di calcio dell’oratorio fatta di ragazzini, frate Giulio e… una borsa piena di lettere.
La tragedia di Alfredino evoca in ogni lettore un lontano ricordo doloroso. La voce di Andrea che forse è quella dell’autore dice che “Abbiamo avuto tutti paura di poter cadere in un buco senza l’aiuto di mamma o papà o dei pompieri o di Mazinga o dell’Uomo Ragno… il nostro modo traumatico di diventare grandi in pochissime ore”.
Commuove il viaggio alla ricerca dell’innocenza seppellita a forza in noi. Un viaggio intriso di amore, coraggio, pazienza con il sorriso pulito, puro e generoso dei bambini.
La voce di una stella, quella di Teresa che chiama Andrea.
Monikat
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