È primavera, i ciliegi sfioriscono a Tokyo ma, cosa potrà accadere entrando in una caffetteria, dall’aroma di antico, posizionata in un seminterrato senza finestre con una luce color seppia e grossi orologi appesi alle pareti con ore diverse, forse immobili?
Il luogo è avvolto da una leggenda metropolitana, tramandata a voce e riportata in un articolo. Qui si incrociano anime a sorseggiare una bevanda poco amata perché nera e amara ma solo “Finché il caffè è caldo” di Toshikazu Kawaguchi (Garzanti). Il locale è piccolo, può accogliere solo nove persone: tre al bancone e sei a tavolini da due.
Fumiko incontra Goro, il fidanzato, che le deve comunicare una cosa seria. Immagina una promessa di matrimonio, in realtà lui le comunica che si trasferirà negli USA per lavoro.
Non sono soli… Nel caffè è seduta una donna in abito bianco che legge un romanzo d’amore, Fusagi un uomo ordinario con una rivista di viaggi in mano e un taccuino per appunti, Hirai eccentrica con vistosi bigodini in testa, Kazu la cameriera, Nagare il proprietario e la moglie Kei.
Fumiko ha letto su un giornale della leggenda del “Caffè che vi porta indietro nel tempo”. Vorrebbe rimediare, trattenere l’amore, ma… Ci sono regole da rispettare: incontrare solo persone che sono state nel locale; tornando al passato non si potrà far nulla per cambiare il presente; una sola sedia permette di tornare indietro e da cui non è permesso muoversi.
Non è semplice per Fumiko attivare la procedura. Deve ritornare più volte alla caffetteria perché la sedia deve essere libera e accade solo una volta al giorno quando la dama bianca va in bagno. Ma la figura è eterea! Fumiko non crede al fantasma, emblema di un rimpianto, e rimane vittima della maledizione ma tutto si rimedia.
Il locale è magico, è fresco d’estate senza finestre. L’aroma del caffè etiope pervade l’atmosfera retrò. Per realizzare il salto nel passato c’è un’ultima regola da seguire: il limite di tempo. Una tazza di caffè bevuto finché è caldo, amaro e fumante, preparato con chicchi provenienti dall’Etiopia, un gusto fruttato forse un po’ forte, preparato a depressione ma anche all’americana.
La caffettiera d’argento è simbolo di un’antica cerimonia, un rituale nipponico, il vapore sale cangiante avvolgendo ogni cosa che si flette in un vortice disperdendosi come in un sogno.
La felicità passa dai quattro atti in cui i personaggi si incrociano. Cercano nel passato un modus vivendi per il presente. Ma solo dal passato?
Ci sono…
Kotake che viaggia alla ricerca di sé stessa incontrando Fusagi il marito malato;
Hirai, che sopraffatta dal rimorso nei confronti della sorella Kumi riesce a salutarla con una parola che contiene i suoi sentimenti;
Kei che ormai debole cerca di conoscere il semino che porta dentro di sé.
L’articolo del giornale si chiude: “In fin dei conti, che uno torni nel passato o viaggi nel futuro, il presente non cambia comunque. E allora sorge spontanea la domanda: che senso ha quella sedia?” Forse il potere di cambiare il cuore delle persone, in un romanzo dai contorni universali dove le ambientazioni evocano i film animati di Miyazaki.
Monikat
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