“Roma è ancora addormentata, e ad accompagnare i nostri pensieri ci sono solo i canti di alcuni usignoli che nidificano sui tetti, il rivolo d’acqua di una fontana, l’abbaiare di un cane chissà dove e le esclamazioni lontane e indecifrabili degli ultimi carrettieri che durante la notte hanno rifornito le botteghe. È la quiete prima della tempesta.”
Ma la tempesta non è una vera tempesta, bensì uno dei più devastanti incendi che la città di Roma abbia mai avuto, raccontato dal divulgatore scientifico, paleontologo, naturalista e conduttore tv Alberto Angela in “L’ultimo giorno di Roma – Viaggio nella città di Nerone poco prima del grande incendio” (Harper Collins Italia).
Il primo volume di una trilogia dedicata a Nerone: siamo infatti nel 64 d. C., un periodo molto florido per l’Impero ma nello stesso tempo pieno di contraddizioni, sotto la guida del quinto imperatore romano che è stato troppe volte accusato di essere colpevole in tal senso. La lente d’ingrandimento dell’autore permetterà di comprendere più attentamente se e come Nerone abbia davvero influito nella vicenda, quanta verità vi sia e quanta la leggenda.
Un grande peso nella propagazione delle fiamme lo ha sicuramente avuto la sovrappopolazione dell’Urbe, che in quel periodo conta oltre un milione di abitanti, per lo più stipati nei giganteschi palazzoni popolari, chiamati insulae, spesso costruiti alla meglio, tra un abuso edilizio e l’altro. In legno, ovviamente. Questo materiale che si ritrova un po’ ovunque, unito alla spesso insufficiente quantità d’acqua e al fatto che si sia in un’epoca in cui il fuoco può diventare il nemico pubblico, costituisce una delle cause principali che portano a quella che gli storici definiscono una tragedia senza precedenti (del mondo antico); forse paragonabile all’eruzione di Pompei, nel 79 d. C., di cui lo stesso autore racconta in un altro libro, “I tre giorni di Pompei” (Rizzoli).
Ma qui i protagonisti sono Vindex e Saturnino, due vigiles, una sorta di vigili del fuoco ma anche ronda locale, e attraverso i loro occhi si scoprono piccoli e importanti dettagli sulla vita quotidiana del tempo: come le persone mangiano, e dove, come si scandiscono le ore della giornata, cosa succede ai mercati, quali sono le professioni, i pericoli, i colori, i rumori e gli odori di una Roma incantevole quanto spaventosa, specialmente di notte, dove non è per niente raccomandabile uscire, tanto che c’è bisogno della ronda.
Secondo le fonti storiche, i due uomini sono esistiti veramente ed erano davvero due vigiles, ma Angela prova a immaginare come questi abbiano potuto trascorrere le ultime ore della loro vita. Altri sono i personaggi realmente esistiti, intanto Plinio il Vecchio e Tito, futuro Imperatore, ma anche Alcimus, scenografo di corte, e la pescivendola Aurelia Nais. Altri invece sono frutto di fantasia e, grazie alla capacità dell’autore di romanzare le fonti attraverso un linguaggio morbido e coinvolgente, visivo e verosimile, l’effetto finale è quasi cinematografico.
Il libro si apre e conclude con lo sguardo di una donna che osserva il tramonto sul Mar Tirreno: è il 17 luglio del 64 d. C. e Poppea, moglie di Nerone, sta guardando l’orizzonte con nostalgia, scostandosi una ciocca di capelli ramati dalla fronte, come se il suo animo percepisse quello che fra poche ore succederà. Lei e l’Imperatore sono nella dimora di vacanza, ad Anzio, e stanno per trascorrere la notte tra fasti e banchetti, senza curarsi di dominare gli eccessi. Tacito stesso ci racconta di una donna libera e molto spesso licenziosa. Nerone, dal canto suo, non fa di meno. La trasgressione dei Romani è storicamente nota, come lo stesso Angela ci racconta in un altro dei suoi libri sulla vita quotidiana del tempo, “Amore e sesso nell’antica Roma” (Mondadori).
Il contrasto tra la vita della gente comune, che si scopre attraverso gli occhi dei due vigiles durante la ronda, e gli sfarzi e gli eccessi della corte imperiale rende lo sfondo dell’imminente tragedia che sta per consumarsi ancora più agrodolce.
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